
Sulla meditazione
D. – Che cosa pensa lei delle tecniche di meditazione di cui si
parla tanto?
R. – Ogni tecnica è un condizionamento e le tecniche di meditazione
che pretendono di essere delle tecniche di decondizionamento non
sfuggono al circolo vizioso.
Meditare è fare qualche cosa.
Non lo si può contestare dicendo che è un “fare” avente come scopo la cessazione ed il
far niente.
Chi medita metodicamente rassomiglia ad un uomo che prende
delle disposizioni per non partire per un viaggio.
Per non partire per un viaggio non c’è niente da fare, non c’è che da non partire.
Per essere disponibili alla luce del Sé, non c’è niente da fare. Non è necessario fare
qualche cosa per fare niente. La meditazione vera è costituita dai momenti
di grazia, di pace e di abbandono che noi accogliamo.
Nondimeno, certe “tecniche” di meditazione possono essere utili a condizione di
comprendere che esse non possono avere che un valore propedeutico.
L’uomo comune è talmente indaffarato e agitato che deve fare qualche
cosa per comprendere l’accostamento al “far niente”. Queste non sono
che tecniche di approccio al “far niente”. Esse non ci conducono al “far
niente”, ma ce ne avvicinano. La Realizzazione è impossibile se non si superano.
Grosso modo queste tecniche possono ricondursi a due tipi che si
potrebbero chiamare:
la meditazione con oggetto e la meditazione verso il “senza oggetto”. La meditazione con oggetto è il metodo più facile, quella che meglio si conviene ai principianti. Essa consiste nel fissare un oggetto, Il meditante si concentra su questa immagine o questo concetto, visualizza l’immagine o fissa il concetto nel suo insieme e nei suoi dettagli.
Può accadere che alla fine la sua meditazione
lo blocchi e lo tuffi nel suo oggetto fino a fondersi in lui.
Egli raggiunge così uno stato di unità. Questo stato di unità non è che uno stato, esso
non è la Realizzazione, ma poiché è eminentemente pacato e statico il
meditante può accidentalmente accedere al capovolgimento realizzatore
attraverso il quale questo stato di unità qualificata si riassorbe nell’Uno
senza qualità.
Tale capovolgimento non è la conseguenza necessaria di
questo stato (poiché non è in nessun caso la conseguenza di una qualunque
cosa), ma si può dire che lo stato di unificazione tra il contemplatore ed
il suo oggetto sia una condizione che favorisce il decondizionamento.
La meditazione verso il “senza oggetto” rappresenta una via diretta e
istantanea destinata a quelli che hanno un’alta capacità di astrazione e
di discriminazione. È una tecnica che esige sempre la presenza di un
Maestro qualificato. È un metodo eliminatore, riduttore e involutivo che
consiste in un esercizio di comprensione della natura ultima dell’oggetto
per riuscire a riconoscere che tutta la realtà dell’oggetto è Soggetto.
Si considera innanzitutto che l’oggetto non ha come realtà che la
sua relazione con il soggetto, che l’oggetto senza soggetto è impensabile.
Ma bisogna guardarsi bene dal non fare del soggetto e dell’oggetto
dei correlativi equivalenti, perché il Reale non è trascendente, ma
Trascendentale.
Si procede dall’eliminazione degli oggetti.
Bisogna comprendere che per oggetto, si indicano qui non soltanto
gli oggetti del mondo fisico e il nostro corpo, ma anche tutta la realtà
psichica, vale a dire: emozioni, immagini, pensieri…
Esercitandosi ad annullare gli oggetti in numero crescente ed
in maniera via via più radicale fino all’eliminazione totale della realtà
oggettiva, si finisce per scoprire che dietro la scomparsa dell’oggetto, (che
ha trascinato correlativamente quella del soggetto) c’è il Sé, Coscienza
pura senza oggetto, Amore puro senza oggetto e Beatitudine infinita.
Questa pratica costituisce l’aspetto intellettuale della meditazione verso
il senza oggetto.
Per essere veramente efficace essa deve essere completata dal
suo aspetto affettivo. Nel suo aspetto affettivo si contempla l’oggetto
in quanto “fine desiderato”. La riflessione dimostra che il desiderio per
l’oggetto non si indirizza all’oggetto, ma a qualche cosa che l’oggetto
sembra produrre o contenere e che è la Felicità nella Pace, vale a dire una
Gioia che è completezza e sufficienza.
Si riconosce così che il desiderio non si indirizza affatto all’oggetto, che il suo “fine” è una realtà separata
dall’oggetto. A questo punto si è fatto un grande passo, perché si sa ormai
che in verità non si desiderano le cose. Allora la realtà oggettiva si trova
completamente senza valore e il desiderio non trova più alcuno scopo.
Il desiderio, ormai senza oggetto, perde la sua tensione verso l’esterno e
ricade, per così dire, su se stesso.
Si arriva così alla realizzazione del Sé. Non si può definire con
esattezza questa realizzazione perché essa si trova al di là della dualità, ed
il linguaggio non la raggiunge. Si può pertanto cercare di “commentarla”
dicendo che l’uomo realizzato è colui che perviene alla coscienza pura e
plenaria dell’ “Io sono”.
Nell’uomo comune questa coscienza è sempre
confusa perché impura, cioè accompagnata da qualifiche: “Io sono questo
o quello, sono di fronte a questo o a quello”. In realtà l’ “Io sono” è sempre
là. Non può non essere là. Accompagna tutti gli stati. Per ritrovarlo nella
sua purezza integrale non c’è altro modo che eliminare tutto quello che
l’accompagna: oggetti, stati. È allora che la coscienza abituata a fissarsi
sugli innumerevoli compagni dell’ “Io sono” non avendo più che cadaveri,
si ritrova e realizza il suo splendore eterno.
D. – Sembra che questa via sia assai rapida, nella misura in cui la
si applica, beninteso!
R. – Non si può dire che sia rapida o lenta, si può soltanto dire
che è la più diretta. Le vie più dirette non sono necessariamente le più
rapide perché esse sono al tempo stesso le più difficili. La difficoltà
principale della meditazione verso il senza oggetto è che essa esige da
noi un modo di comprensione non abituale. Il nostro desiderio di armonia
e di illuminazione ci spinge continuamente a voler trasformare noi stessi.
Ora, il mentale non può mai cambiare una cosa qualunque in
modo veramente radicale.
Quello che intendo per cambiare, è uscire dal cambiamento.
Quando siete orientati verso la prospettiva non oggettiva, i problemi
svaniscono perché voi sapete che detti problemi non sono stati creati che
per voi stessi.
D. – Ma un’ascesi per “pulire” la casa e una disciplina per
mantenerla propria, non sono necessarie?
R. – Non si può mai pulire la casa con gli elementi che hanno
creato quella che voi chiamate la sporcizia. Non si può mai cambiare la
mente con la mente.