Arrivo a domandarmi se quella che noi chiamiamo “attenzione” non è forse la forma psicologica, nello stesso tempo affettiva e intellettuale, di questo contatto fondamentale, se l’attenzione non è una forma di tatto.
Un cieco si trova in una camera. Un uomo entra, si siede e non parla. Il cieco se ne accorge? il buon senso dice di no, ma io non sono sicuro che il buon senso abbia ragione, perché il cieco può farsi attento, può far si che quell’uomo immobile venga fino a lui.
Egli può rimuovere, uno a uno, silenziosamente e senza un gesto, tutti gli ostacoli che lo separano da lui e che sono tutti ostacoli interiori, e il corpo di quell’uomo gli apparirà.
So bene che questa esperienza è un’esperienza limite, so che essa non è quasi mai praticata coscientemente, ma credo che ogni cieco la conosca realmente, ch’egli lo sappia o no.
Che dire? Che quel cieco ha sviluppato una facoltà superiore? Che si è posto con il suo spirito al di sopra delle condizioni percettive normali? Si dovrà dire semplicemente : egli ha toccato.
La cecità dà una grande felicità, è veramente una opportunità, sia per il disordine sia per l’ordine che essa crea.
Il disordine consiste in quel piccolo urto, in quel leggero spostamento che essa provoca e che obbliga chi ne è colpito a percepire il mondo da un altro punto di vista.
Disordine utile, perché l’essenziale delle nostre disgrazie e dei nostri errori deriva dalla fissità della nostra posizione.
Quanto all’ordine, esso consiste nella scoperta della creazione ininterrotta. Noi accusiamo continuamente le nostre condizioni di vita, le chiamiamo avvenimenti, accidenti, malattie, obblighi, infermità ; vorremmo imporre alla vita nostre proprie condizioni, ecco la nostra vera infermità.
Cosi facendo dimentichiamo che Dio non crea mai per noi delle situazioni nuove senza darci nello stesso tempo delle nuove armi per fronteggiarle.
Sono grato alla cecità di avermi impedito di dimenticarmene.
E’ questa attitudine voglio chiamarla “ottimista”, nonostante che l’ottimismo non sia oggi molto apprezzato, ma lo faccio perché non posso ammettere che si squalifichi una esperienza solo perché essa è felice.
I ciechi vedono a modo loro, ma vedono. Questa non è per loro una consolazione, è un dato di fatto che comporta altrettanti rischi e doveri di quanti ne comporta la vista per coloro che possiedono gli occhi.
Jacques Lusseryan
Un regard nouveau sur le monde – Lo sguardo diverso