Kapalabhati è considerato, con Bhastrika, il più importante esercizio di purificazione. Jean Klein lo considerava una pratica essenziale della disponibilità. Durante i primi anni l’espulsione secca dell’aria si pratica tramite la parte bassa della cintura addominale, come a voler marcare un puntino su di una “i”, due centrimetri sotto l’altezza dell’ombelico.
Appreso nei primi tempi in serie di undici, poi undici, poi undici volte undici, raddoppiando, poi triplicando le serie, si arriverà a una decina di minuti: 3×121, nuovamente moltiplicato per tre. A quel punto, il ritmo naturale permetterà di fare sino ad un’ora, un’ora e mezza o più di pratica giornaliera.
La dissociazione precisa della cintura addominale, la vacuità della bocca, dove la lingua si depone sugli incisivi inferiori, la distesa della mandibola, cosi come un movimento secco, libero da intenzione e da volume, saranno gli aspetti tecnici essenziali.
Per verificare la distensione, si deve essere capaci di accompagnare il movimeto con la mascella, come una vacca che rumina. Il frusciare del respiro avviene nel bordo più interno delle narici, non verso i seni nasali, per evitare eventuali mal di testa.
Dopo alcuni anni, si farà salire la localizzazione della cintura addominale verso il diaframma. Questo gigantesco muscolo poco alla volta si svelerà, dapprima centralmente, più tardi lateralmente. L’esercizio si espanderà via via nello spazio, come se si scuotesse tutta l’aria della stanza.
Durante i primi anni si praticherà solamente la secchezza e la precisione. Più avanti sarà evocata la potenza, poi integrata. Successivamente, la rapidità (due espulsioni per secondo) parteciperà alla tenuta tradizionale dell’esercizio, mantenendo la leggerezza e la finezza dell’inizio con la potenza acquisita in seguito.
L’esercizio integrato si praticherà allora con ciascuna narice alternando: durante un quarto di tempo la narice sinistra, durante un quarto di tempo la narice destra, poi nuovamente le due narici. Più avanti l’esercizio sarà praticato solo dall’una o dall’altra narice. Si avrà ben cura di verificare la distensione del braccio destro. Non esitare, durante una serie alternata, a lasciare riposare il braccio e la mano, se vi si installa la minima tensione.
Quando la pratica si approfondisce, per sviluppare la sensibilità e la dissociazione del diaframma, Kapalabhati sarà esplorato in tutte le pose classiche: pinze in avanti, posture all’indietro, torsioni, allungamenti e pose capovolte. Questo permetterà di scoprire compensazioni sconosciute fino ad allora e di ammorbidire al massimo il diaframma.
Durante Kapalabhati occorre muovere, esplorare la sensibilità del diaframma affinchè mantenga la sua elasticità qualunque siano la posizione e la zona compressa.
Tirato, ritorto, tutto lo spessore del muscolo deve diventare vivente. Quando è elastico, il corpo è in buona salute e l’energia equilibrata. Quando è troppo teso o afflosciato è inevitabilmente una forma di debolezza energetica.
Il dottor Salmanov aveva compreso benissimo l’importanza di questo organo. La pratica intensa di Kapalabhati irrora il diaframma, elimina la cattiva digestione e favorisce l’assimilazione degli alimenti. Gli organi, tutto il sistema digestivo sono tonificati. Sovente la debolezza proviene da una cattiva digestione che determina il livello di energia del corpo.
Kapalabhati deve essere praticato per almeno una ventina di minuti. Più tardi, se la vita ci dà lo spazio, si imporranno tempi più tradizionali. Un’ora e mezza era il tempo che Jean Klein condiderava funzionale per pulire gli ingombri di molti dei suoi allievi.
Prima espulsione e ultima: stessa potenza. L’ultima non è dobole, la prima non è forte: sempre la stessa intensità. Termina come la lama di una ghigliottina che scende. Nessun cedimento del ritmo. Non essere mai al massimo: se si ha la capacità di praticare una mezz’ora, non si esploreranno che venti minuti; se è un’ora, tre quarti d’ora; se è tre minuti, due saranno sufficienti.
Quando ci si ferma, si potrebbe continuare ancora parecchio. Poiché non si raggiunge mai il proprio limite, esso si espande. Essere al limite della propria capacità, è come fare una postura al proprio massimo: si restringe la libertà.
Nel rispetto delle capacità, si può andare un poco più veloci, più forte, più lontano: il corpo è contento, disponibile. Se si spinge, c’è usura. Stessa cosa con il respiro, una espirazione spinta danneggia il cuore, una espirazione fluida lo rinforza; una inspirazione troppo tonica, intenzionale, scuote il sistema nervoso, una inspirazione organica, costante, fluida, lo equilibra. Tutto ciò che oltrepassa un limite è eccesso. Ci si posa sul ritmo. Si preme un bottone e iniza, si preme nuovamente e si arresta: non c’è nulla da fare.
Rimanere tranquilli, il diaframma segure il suo movimento, il cuore segue il suo movimento, non affatichiamoli. Perché il cuore batta, non c’é nulla da fare: per il diaframma è lo stesso; tutto arriva nella tranquillità. All’inizio serve un pò esplorare, in seguito è molto facile.
Praticato ogni giorno per una mezz’ora, Kapalabhati induce un effetto psicologico profondo. Non lo si constata necessariamente subito, ma la mente si calma, il sonno si riduce. Non è più necessario dormire sette o otto ore per notte. Tale diminuzione sarà accentuata dal lavoro del respiro. La quantità non è necessaria, ma la qualità è indispensabile.
Praticato camminando, particolarmente nelle salite durante una passeggiata in montagna, questo esercizio paleserà certi paramenti non conoscibili in posa statica. Questo studio non apporta tutti gli effetti della pratica seduta ma, se la sperimentazione è abbastanza lunga, stimola la distenzione e la chiarezza.
Autentico purificatore di memorie antiche, Kapalabhati elimina gli ingombri del passato senza che sia necessaria la loro riattualizzazione psichica. A causa della tonificazione di tutta la struttura digestiva e del rilassamento che procura al cervello, esso è disoccupazione assicurata per gli psicologi. Secondo i canoni yogici, da solo è sufficiente a mantenere una salute ottimale. Kapalabhati è particolarmente indicato ai temperamenti “rajasici” ai quali pacificherà l’energia e la trasformerà in dinamismo di coscienza.
Buona pratica!!